La psicosi
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La psicosi
LA PSICOSI
di Volfango Lusetti
di Volfango Lusetti
Questo tema viene inquadrato, dalla Psichiatria più tradizionale, nei termini d’una perturbazione grossolana delle funzioni mentali superiori (la desinenza òsi indica in medicina, in genere, un processo degenerativo), la quale per definizione è dovuta ad una qualche “noxa” organica, ovvero ad una causa medica (questa almeno è la posizione di Kurt Schneider), e coinvolge progressivamente, intaccandole in profondità fino a comprometterle, facoltà mentali molto generali e tipiche dell’essere umano quali la capacità di giudizio (tramite il delirio), la percezione (tramite le allucinazioni), talora la coscienza (specie in alcune forme psicotiche deliranti acute, ad esempio su base tossico-infettiva, nelle quali si producono alterazioni della coscienza, ed in particolare si perde la capacità di riconoscere persone o cose e di orientarsi nel tempo e nello spazio).
Già in questa definizione, dunque, vediamo come la psicosi sia identificabile con una prevalenza netta, a livello mentale, della morte (in questo caso una morte di natura “medica” ed identificabile con una malattia organica) rispetto alle funzioni vitali e/o di sopravvivenza.
Inoltre, vediamo come tramite le allucinazioni la realtà esterna “giunga addosso” al soggetto in forma immediata e senza filtri (le allucinazioni rappresentano un disturbo percettivo il quale, per definizione, pur essendo d’origine interiore ha la forma e la proiezione estesica d’una esperienza proveniente dall’esterno), mentre, viceversa, con il delirio è la realtà interiore del soggetto ad essere proiettata in forma immediata e senza filtri sull’ambiente esterno (il delirio è un disturbo del pensiero a carattere prevalentemente proiettivo).
Insomma, già nella definizione più classica di psicosi, fra individuo e realtà esterna si stabilisce un rapporto “a circuito” di natura immediata, senza anelli intermedi, protezioni o diaframmi di alcun genere.
Emil Kraepelin, pur fornendone delle descrizioni cliniche “trasversali” veramente magistrali, studiò le psicosi soprattutto dal punto di vista longitudinale, ossia di “decorso” e di “esito”, e pur tenendo fermo il principio della natura presuntivamente “medica” dei fattori causali in gioco (principio comune a tutta la Psichiatria della sua epoca, e prepotentemente tornato in auge oggi), le distinse fra psicosi “periodiche” o circolari (essenzialmente, la psicosi maniaco-depressiva) che di norma non davano luogo ad un esito in demenza, e psicosi cosiddette “processuali”, quali ad esempio la schizofrenia, che invece portavano precocemente (dato il loro esordio giovanile) ed anche irreversibilmente, a demenza, donde il nome, da lui assegnato alla malattia, di “demenza precoce”.
Anche in questa definizione, vediamo ipotizzata la presenza d’una causa di malattia, d’ordine essenzialmente organico, la quale conduce progressivamente ad una prevalenza assoluta della morte a livello mentale, anche se la natura di questa causa, a differenza che in Schneider, almeno nel caso della schizofrenia resta del tutto sconosciuta (il cosiddetto “processo schizofrenico” è per definizione relativo a cause organiche sconosciute, e per ciò stesso definite come “endogene”).
LEGGI TUTTO IN PDF: La psicosiGià in questa definizione, dunque, vediamo come la psicosi sia identificabile con una prevalenza netta, a livello mentale, della morte (in questo caso una morte di natura “medica” ed identificabile con una malattia organica) rispetto alle funzioni vitali e/o di sopravvivenza.
Inoltre, vediamo come tramite le allucinazioni la realtà esterna “giunga addosso” al soggetto in forma immediata e senza filtri (le allucinazioni rappresentano un disturbo percettivo il quale, per definizione, pur essendo d’origine interiore ha la forma e la proiezione estesica d’una esperienza proveniente dall’esterno), mentre, viceversa, con il delirio è la realtà interiore del soggetto ad essere proiettata in forma immediata e senza filtri sull’ambiente esterno (il delirio è un disturbo del pensiero a carattere prevalentemente proiettivo).
Insomma, già nella definizione più classica di psicosi, fra individuo e realtà esterna si stabilisce un rapporto “a circuito” di natura immediata, senza anelli intermedi, protezioni o diaframmi di alcun genere.
Emil Kraepelin, pur fornendone delle descrizioni cliniche “trasversali” veramente magistrali, studiò le psicosi soprattutto dal punto di vista longitudinale, ossia di “decorso” e di “esito”, e pur tenendo fermo il principio della natura presuntivamente “medica” dei fattori causali in gioco (principio comune a tutta la Psichiatria della sua epoca, e prepotentemente tornato in auge oggi), le distinse fra psicosi “periodiche” o circolari (essenzialmente, la psicosi maniaco-depressiva) che di norma non davano luogo ad un esito in demenza, e psicosi cosiddette “processuali”, quali ad esempio la schizofrenia, che invece portavano precocemente (dato il loro esordio giovanile) ed anche irreversibilmente, a demenza, donde il nome, da lui assegnato alla malattia, di “demenza precoce”.
Anche in questa definizione, vediamo ipotizzata la presenza d’una causa di malattia, d’ordine essenzialmente organico, la quale conduce progressivamente ad una prevalenza assoluta della morte a livello mentale, anche se la natura di questa causa, a differenza che in Schneider, almeno nel caso della schizofrenia resta del tutto sconosciuta (il cosiddetto “processo schizofrenico” è per definizione relativo a cause organiche sconosciute, e per ciò stesso definite come “endogene”).
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